In uno sketch comico, Enrico Brignano va in banca per ritirare dei soldi per l’acquisto di una lavatrice, ma l’addetto tenta di raggirarlo per non fargli ritirare i suoi soldi e convincerlo che in realtà ha bisogno di un prestito.
La scenetta spassosa mi ha ricordato il rapporto malato tra Stato italiano e cittadino.
Lo Stato Sociale Assistenziale si fonda proprio su questo presupposto: offrire un servizio anche a chi non ne ha bisogno e potrebbe facilmente procurarselo altrove, migliore in qualità e prezzo: ovviamente il servizio non è gratuito ma pagato con salatissime tasse.
L’Italia non ha mai conosciuto una politica autenticamente liberale, ma solo politiche, stataliste, assistenzialiste, socialiste, ridistribuzioniste, che hanno contribuito ad aumentare corruttele e clientele ed il numero dei poveri e dei disoccupati. L’occupazione, sistematica e gramsciana di tutti i gangli culturali, scuola statale monopolistica, università, mezzi di informazione, da parte della sinistra, ha impedito alla popolazione di dotarsi di una autentica cultura liberale e le ha inoculato la convinzione di dover necessariamente dipendere dall’apparato statale per realizzarsi.
Il modello imposto dalla sinistra è stato quello dello Stato Sociale Assistenziale che parte dal presupposto che tutti i cittadini NON siano in grado di badare a loro stessi ed abbiano bisogno di assistenza attraverso un Welfare Universalistico. Ma ciò è profondamente sbagliato: la maggior parte dei cittadini è in realtà in grado di badare a sé stessa e solo una piccola parte ha bisogno di essere assistita e ciò è possibile farlo attraverso un Welfare diverso, cioè attraverso la creazione di un Welfare Residuale.
La differenza non è di poco conto in quanto il Welfare Universalistico ha un Impatto enorme sulla spesa pubblica e conseguentemente richiede una enorme tassazione mentre il Welfare Residuale richiede una spesa pubblica marginale e consente quindi di tenere bassa la tassazione, liberando le energie produttive insiste nella popolazione. Ovviamente, un certa categoria di politici spinge per il Welfare Universalistico, anche se non necessario, e preferisce creare quel bisogno indotto di assistenza non corrispondente alle reali necessità, perché l’allargamento della spesa pubblica e del gettito di imposte e contributi, necessario per mantenerla, consente loro molta più intermediazione economica, l’allargamento delle clientele e della loro area di influenza e di potere, insomma, il poter mettere le mani su una massa di denaro molto, molto più grande.
“Abbiamo il dovere di identificare alcuni gruppi di persone che hanno bisogno d’aiuto, ma il resto di noi deve assumersi la responsabilità di sé stesso, e dobbiamo smettere d’essere una società così mentalmente sussidiata.”
Così Margaret Thatcher alla fine degli anni ’70, i cui timori sullo stato sociale erano duplici.
In primo luogo, lei ei suoi consiglieri pensavano che un generoso provvedimento collettivo per la disoccupazione e la malattia stava indebolendo la spinta al lavoro In secondo luogo, temevano l’influenza corruttrice di quello de “lo Stato di Babbo Natale” nella classe media che, invece di affidarsi al duro lavoro e alla parsimonia, sarebbe stata tentata di affidarsi all’azione collettiva attraverso i sindacati e le distribuzioni statali.
La Thatcher voleva ristabilire un quadro economico e giuridico e un ethos culturale che premiasse quelli che considerava i valori “vittoriani” o “borghesi” della parsimonia, dell’autosufficienza e della carità tra tutte le classi, era determinata a ridurre le tasse e a ridurre il valore dei sussidi relativi al lavoro e a non offuscare l ‘importante distinzione tra ciò che gli individui guadagnano con i loro sforzi e ciò che ricevono dallo Stato.
L’obiettivo non era quello di abolire del tutto lo stato sociale, ma di lasciare la sicurezza sociale come ultima risorsa per la minoranza più povera, i veri indigenti, i “less Eligibles” (poveri meritevoli, meritevoli di aiuto) rendendola irrilevante per coloro che avevano un reddito medio-alto, che invece avrebbero dovuto rivolgersi autonomamente ai fornitori privati.
Margaret Thatcher ha visto l’individualismo come un fatto della vita; “Riconosciamo semplicemente la forza dell’interesse individuale nelle azioni degli uomini, in particolare nelle questioni economiche.. Non lo lodiamo né lo denigriamo “.
Il marchio dell’individualismo di Thatcher era profondamente segnato dall’auto-aiuto e dalla carità sottolineati nell’educazione metodista Era lungi dall’essere egoista o avido, ma era radicato nei valori dell’autosufficienza e dell’indipendenza radicata nel nonconformismo e nel liberalismo.
Quando la Thatcher ha detto che non esisteva “la società”, sosteneva che gli individui dovevano assumersi la responsabilità delle proprie vite e che era inutile dare la colpa a qualcosa di tanto nebuloso come “società” per i propri problemi.
“È nostro dovere prendersi cura di noi stessi e poi anche aiutare a prendersi cura del nostro vicino …” Se il governo prendesse il posto delle famiglie e delle comunità, le persone avrebbero meno incentivi a farlo da soli: il governo dovrebbe quindi togliersi di mezzo e consentire alla naturale autosufficienza e carità di prosperare: per dirla con Ronald Reagan, “Dovremmo misurare il successo del Welfare da quante persone riescono ad uscirvi e non da quante riescono ad entrarvi.”